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Autore: 1455845@aruba.it Creato: 06/07/2006 16.59
Possibilmente parliamo di jazz...

Da 1455845@aruba.it il 15/01/2008 7.51

in europa, si è sempre accettato un musicista che abbia poco o niente swing, purchè il suo prodotto sia di buon livello. è giusto così, perchè il pubblico europeo, in generale, non cerca di individuare lo swing. accettare, ad esempio, george shearing, ha una sua logica: è un eccellente pianista e musicista, lo swing è appena accennato, ma la sua classe compensa questa sua lacuna per molti ascoltatori. in realtà, anche alcuni statunitensi non hanno fatto dello swing una componente essenziale del loro lavoro. e molti hanno suonato o cantato con colleghi senza swing, la cui capacità musicale è fuori dal comune: vedi louis armstrong e barbra streisand. Si può affermare con ragionevole certezza che lo swing coincide con la pronuncia jazz. pertanto un musicista dalle forti radici classiche fa fatica a produrre swing. ma, senza arrivare a mettere perlman con oscar peterson o kiri katanawa con ray brown, la contaminazione può risultare interessante. la famosa frase di duke ellington va ritoccata: non è detto che non significa niente, se non ha swing. così come non è detto che un europeo abbia meno swing di uno statunitense. anche pensando solo all'italia: franco d'andrea, enrico pieranunzi e antonio faraò producono swing quanto e più di uno statunitense. e se penso all'altra nazione europea che conosco abbastanza, la gran bretagna, aggiungo che nessuno, e sottolineo nessuno, può insegnare a fare swing a musicisti come victor feldman, stan tracey o gordon beck. by the way, niels pedersen, dave holland e george mraz 'swingavano duro' anche nel loro paese nativo.

Da 1455845@aruba.it il 01/01/2008 14.18

sono andato ad ascoltare un concerto di una mia ex allieva e mi sono sorbito un'ottima esibizione di jazz commerciale. il jazz commerciale è sempre esistito, da paul whiteman a glenn miller a chi vi pare..., la sua formula è semplice: ridurre o eliminare l'improvvisazione. ora, per uno che è cresciuto con 'kind of blue', 'the shape of jazz to come', 'my favorite things', 'sunday at village vanguard' e che ha per coetanei musicisti che hanno definito il jazz sinonimo di libertà, ascoltare un concerto di jazz commerciale con i suoi arrangiamentini dal gusto discutibile, è penoso. Ammetto che i musicisti erano ottimi, che i suoni erano belli, che la mia ex allieva sapeva tutto a memoria per benino, ma preferisco il jazz autentico con tutto il suo disordine ed il suono "dirty"... e soprattutto con il suo desiderio di libertà.

Da 1455845@aruba.it il 30/12/2007 6.37

ci ha lasciato oscar peterson... i musicisti jazz si dividono in tre categorie: i musicisti jazz propriamente detti come Thelonious Monk, gli strumentisti che sanno suonare un pò di tutto come Oscar Peterson e chi tenta di coniugare le prime due categorie come Bill Evans. Apparentemente l'ultima categoria è la più completa, ma il risultato non è garantito. oscar peterson era il più grande degli strumentisti perchè era umile. non a parole, anzi era molto permaloso... ma era umile nell'agire, che è molto più importante. Ha accompagnato e benissimo, decine di grandi figure del jazz senza neppure prendere un assolo. Probabilmente il suo meglio è in compagnia di Milton Jackson e Ray Brown. una loro ultima incisione, con oscar limitato dall'artrosi della mano sinistra, è ancora il meglio dello "straight jazz".

Da 1455845@aruba.it il 26/11/2007 7.00

mi sembra inutile parlare male dei musicisti. Per fare capire l'estraneità dei musicisti al tessuto sociale italiano, cioè la loro emarginazione, un compositore di musica contemporanea, se ben ricordo... Franco Donatoni, si presentava al Maurizio Costanzo Show vestito da "pellirossa". Ma giovanni allevi è troppo visibile e risibile per non spenderci qualche parola. Imita il primo Keith Jarrett, quello degli anni '70, con un centoventottesimo di tecnica strumentale e conoscenza musicale. Insomma ancora meno di quanto facessero i pianisti della "new age". allevi si presenta come uno scemo e si vanta di scrivere, notina per notina, le sue sonatine per principianti. Sembra che dietro ci siano jovannotti, il vaticano e comunione e liberazione al completo. Non so quanto sia vero, ma basta questo per costruire una tale "bufala"? Non è forse determinante che in italia pochi hanno una educazione musicale e che quasi tutti si rifiutano di riconoscere che la musica è una cultura, un sapere?

Da 1455845@aruba.it il 22/11/2007 15.51

chi scrive di jazz sulle riviste italiane, ha una approssimata conoscenza storica e di solito se ne vanta... l'ultima scemenza che ho letto riguarda gli standards di origine italiana... il nostro afferma che l'unico è "Estate" di Bruno Martino... l'autore lo aggiunge lo scrivente: dubito che l'apprendista giornalista in questione, sappia chi l'ha composta... in realtà, ci sono numerose canzoni del repertorio jazz composte da italo-americani come Peter De Rose, Harry Warren (Salvatore Guaragna), Henry Mancini ed altri... ma anche restando solo a brani composti in italia, va notato che da Jelly Roll Morton che provò ad usare il 'Miserere' di Verdi, sono numerosi i brani assorbiti dagli statunitensi, ancora più numerosi se consideriamo anche l'america latina. Lo standard nasce spesso in maniera curiosa, ad esempio, "just a gigolò" è una canzone italiana degli anni trenta, ma il successo è dovuto al testo tedesco che gli anglo-americani hanno tradotto alla lettera. Thelonious Monk ha amato molto questa canzoncina e si capisce che improvvisa proprio sul testo. Il cinema è la sorgente più ricca da dove nascono queste celebri canzoni. 'More' di Riz Ortolani era un canto di nozze dal film "Mondo Cane", così come la bella "Autumn In Rome" era dal film 'Stazione Termini' di Vittorio De Sica. Mentre "I Want To Be Wanted" composta dallo sfortunato Pino Spotti ( autore anche di "Le Tue Mani"), deve il suo successo all'eccellente testo americano. "Softly As I leave You" di Tony De Vita, in italiano s'intitola "Piano" e non le ha reso giustizia una Mina un pò acerba e piagnucolosa.... a seguire...

Da 1455845@aruba.it il 12/11/2007 16.34

un giorno mi chiamò il proprietario di un noto jazz club, giampiero rubei, e mi disse che volevano un pianista jazz al "bar della pace", vicino piazza navona, per un happening organizzato da achille bonito oliva. Mi precipitai con tutte le mie raccolte di brani ed arrivai con notevole anticipo. Nel bar non c'era nessuno e pertanto entrai nel retro dove trovai una bella ragazza completamente nuda. Arretrai, scusandomi, imbarazzato e dissi che mi avevano detto che il locale cercava un pianista. Lei mi urlò - ormai ero rientrato nel bar - che lei era la cantante: stava giusto aspettando che arrivasse il vestito. Da dietro la porta, le chiesi che canzoni voleva cantare. Rispose: "Me, Myself and I" e "My Mother's Eyes". Le avevo sentite qualche volta da Billie Holiday e da Jimmy Rowles che amava cantare anche se, più che una voce, aveva un sospiro. Non avendo la trascrizione dei brani, pensai di provare a ricordare qualcosa al pianoforte. Poi, aggiunsi mentalmente, lei mi canta la melodia e qualcosa riuscirò a mettere su. Alzai il coperchio del verticale appoggiato al muro e vidi che la tastiera contava pochi tasti e non produceva alcun suono. Mi riavvicinai alla porta del retro e chiesi speranzoso se il pianoforte arrivasse più tardi. La ragazza rispose che credeva che il pianoforte era quello del bar. Ribattei che non suonava e lei di rimando:"...ah, questi pianisti...". Attesi l'arrivo di qualcuno, sperando che la ragazza non fosse informata. Arrivò il proprietario che mi confermò che il pianoforte era quello del locale. Nel frattempo era arrivato il "vestito": due stelline per i capezzoli ed una stella un pò più grande per il pube. Presi i miei libri e me ne andai. Rubei mi fece sapere che gli avevano telefonato chiedendogli che razza di pianista aveva mandato...

Da 1455845@aruba.it il 14/10/2007 1.09

su rai tre, ho assistito ad una scenetta fra due ignoranti e microcefali, dunque giornalisti. lui è un imbecille, che si fa passare per storico della musica, mentre lei una cretinetta con la montatura degli occhiali colorata. l'imbecille informava la cretinetta che pavarotti "non conosceva la musica". è chiaro che l'imbecille voleva dire che il famoso tenore non conosceva la notazione musicale. ora, persino un giornalista dovrebbe capire che l'espressione "non conosceva la musica", detto di qualcuno che legge poco e male la scrittura musicale, è impropria. il tentativo di fissare i suoni sulla carta, ha una storia plurisecolare ma, anche adesso, non si è vicino alla musica come, ad esempio, un testo è vicino al teatro. e qualsiasi uomo di teatro potrebbe confermare che, con una scenografia adatta ed un determinato tono di recitazione, si può capovolgere il significato di ogni testo. carmelo bene era un maestro in questo, prima di andare a fare il lecchino dagli agnelli, come aveva sempre desiderato. la notazione musicale è forse il più bel regalo dell'europa al resto del mondo, ma come si può affermare che degli asiatici come ravi shankar o triloki gurtu "non conoscono la musica"? e i grandi musicisti jazz? art tatum, erroll garner, dave brubeck, lionel hampton, billie holiday, ella fitzgerald, django, wes montgomery, chet baker eccetera eccetera..." non conoscono la musica"? ma magari tutti gli insegnanti di solfeggio la conoscessero quanto loro... ciò che l'imbecille non coglie, è che la scrittura musicale è la mappa non il viaggio. Il viaggio pretende sangue, sudore, lacrime e quel mistero che si chiama arte. e tutto questo non è riportato dalla mappa.

Da 1455845@aruba.it il 14/09/2007 2.54

Serena mi chiede se ci sono testi teatrali basati sul jazz... l'unico che ricordo bene è "The Connection" di Jack Gelber... una sorta di "Aspettando Godot" paradossale dove un gruppo di drogati, fra cui musicisti jazz che ovviamente suonano spesso, aspettano il portatore di eroina... ci sono numerose novelle che sono diventate dei films e che potrebbero essere adattate per il teatro: "The Man With The Horn" di Dorothy Parker, "L'uomo dal braccio d'oro" di Nelson Algren (l'amante americano di Simone Beauvoir...)... si potrebbero portare sulla scena molti copioni cinematografici: "Paris Blues", 'Round Midnight di Tavernier, ovviamente "New York, New York", "Too Late Blues" di Cassavetes, "Mo' Better Blues" di Spike Lee... le biografie non mi piacciono e le tralascio... conto di tornare sull'argomento...

Da 1455845@aruba.it il 08/09/2007 11.43

per scrivere analisi e critica musicale, soprattutto contemporanea, bisogna avere sviluppato un orecchio armonico... cioè la capacità di sentire tutto ciò che succede a livello armonico... pertanto i vari claudio sessa, vincenzo martorella e così via, dovrebbero capire che non hanno la preparazione musicale per definirsi critici o studiosi... al massimo cronisti...tenendo presente che il novanta per cento dei diplomati in musica non matura un orecchio armonico, che viene riservato solo agli studenti di composizione...(e lo scrivente trova la cosa deprecabile...) cercherò di essere esplicito... prendiamo ad esempio un cantante jazz: 1) affronta delle melodie che presentano una serie continua di intervalli e modulazioni, cioè cambi di tonalità, a volte difficili... (l'opposto sono le notine ribattute decine di volte dei vasco rossi o lucio battisti...) 2) l'armonie di base sono accordi di cinque o sei note e spesso la nota lunga da tenere è fuori accordo... (non siamo nel mondo delle triadi di dalla o ramazzotti...) 3) il testo è molto vicino alla poesia pura o, comunque, vuole un autentico impegno di interpretazione... (non sono da festival di sanremo...) 4) il cantante jazz non può esimersi di avere una veste internazionale e pertanto deve confrontarsi con più lingue... Anche dei cantanti veri come bocelli o massimo ranieri soffrirebbero in un contesto jazz autentico...dove dovrebbero affrontare "Turn Out The Stars" di Bill Evans o "Ask Me Now" di Thelonious Monk... Concludendo chi non è capace di capire tutto questo, come sessa o martorella, è meglio che si occupi di cristicchi... perchè questo è tutto ciò che gli permette la sua preparazione...meglio, la sua impreparazione...

Da 1455845@aruba.it il 09/07/2007 11.19

oggi che, per il ben noto andamento della storia chiamato "corsi e ricorsi", si ripete la situazione del primo jazz... e cioè tutti compongono il loro materiale... appare chiaro che qualcuno possiede il dono di fare un tema che altri vogliono suonare, interpretare e così via... mentre altri, pur componendo estesamente non hanno questo dono... oscar peterson sosteneva che la cosa non può essere termine di valore: tanta gente dalla conoscenza musicale minima, ha costruito temi che sono diventati comune repertorio... ma questo dimostra che si tratta di un dono... george shearing si lamentava che delle sue quattrocento composizioni, solo una, "lullaby of birdland", è conosciuta da tutti...poteva aggiungere che un'altra, "conception", è ripresa solo da grandi virtuosi... cos'è che fa dei beatles repertorio comune, mentre pochi sono interessati alle canzoni di elton john, sting o dei coldplay? sicuramente la loro esposizione mondiale e le solide strutture dei loro brani, ma anche un "quid" che appartiene al regno dell'attrazione... alcuni musicisti hanno avuto questo dono per tutta una vita: hoagy carmichael, duke ellington, monk, jobim... altri solo per pochi anni: miles davis, hancock, sonny rollins... qualcuno l'ha perso e poi l'ha ritrovato... qualcuno non l'ha cercato...non sono d'accordo con oscar peterson...posso convenire che non è un dato per sminuire il valore di un artista jazz... ma molti vorrebbero avere questo dono e gente come charlie mingus, john lewis, horace silver, john coltrane e così via hanno costruito una carriera su di esso...