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   Teddy Charles Riduci
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In prima fila: L-R : Gigi Gryce , Jimmy Raney , Don Butterfield , George Barrow , Hal Stein , Teddy Charles e Art Farmer In seconda fila: L-R : Addison Farmer , Mal Waldron e Al Dreare. Da 'Metronome' settemre 1956.


Nella storia del vibrafono jazz, Teodoro Carlo Cohen, alias Teddy Charles, spicca come una personalità decisamente originale ed interessante.
Probabilmente quando dichiarò in famiglia che voleva fare il musicista, l’intera tribù Cohen (da noi, Coin), si chiese come mai non avesse scelto una solida carriera di economista o commercialista… poi ci si rassegnò ad iscriverlo alla più costosa scuola di musica del mondo: la Juillard di New York. Da dove il ragazzo uscì fuori (insieme a vari diplomi…) con l’ambizioso progetto di portare il bebop a competere con l’avanguardia accademica del momento.
Probabilmente Teddy fu sorpreso che fossero in tanti a provarci: Lennie Tristano, George Russell, Charlie Mingus, John LaPorta e così via.

A soli ventuno anni, il nostro organizzò un sestetto la cui introduzione didascalica avrebbe potuto essere: “così suonerebbe il sestetto di Benny Goodman, se solo sapesse come fare…”. I compagni di Charles erano Buddy De Franco al clarinetto, Jimmy Raney alla chitarra, Harvey Leonard al pianoforte, Bob Carter al contrabbasso e, nientemeno, Max Roach alla batteria.
Questa idea rimase una costante nell’opera di Charles: rifare la proposta degli altri applicando le sue tecniche armoniche, melodiche e ritmiche accanto ad un grosso lavoro di composizione ed arrangiamento originale.
E non va dimenticato anche il suo lavoro di produttore, su cui sorvoliamo, anche perché ci sembra di sentire le lamentele della famiglia Cohen che il loro Teodoro investe i suoi soldi in una cosa così incerta come il jazz…
Come vibrafonista Charles è assolutamente rivoluzionario… i modelli imperanti sono quattro delle maggiori figure jazz di tutti i tempi: Red Norvo, Lionel Hampton, Terry Gibbs e Milton Jackson (in ordine di apparizione sulla scena…), ma Charles, che è innamorato di tutti e quattro, di fatto li ignora perché è più musicista che vibrafonista.
Volendo dire che è più interessato al progetto musicale, alla composizione ed all’ arrangiamento che al suo solismo che è, comunque, di primo rango.
Basterebbe notare con quanta tranquillità dirige una sessione d’incisione organizzata da Charlie Mingus con Miles Davis, Britt Woodman al trombone ed Elvin Jones alla batteria.

Siamo nel 1953, Charles con il suo vibrafono occupa il ruolo armonico in un quintetto con tromba e trombone. Più tardi rileggerà il repertorio di Lionel Hampton, in un sestetto con il trombettista Art Farmer, il tenorista Zoot Sims, il trombonista Bob Brookmeyer, Addison Farmer al contrabbasso ed Ed Thigpen alla batteria.
Red Norvo aveva eliminato il pianoforte facendo “comunella” con la chitarra: il vibrafono più la chitarra formano un tessuto armonico che può rivaleggiare con il pianoforte… ma Charles affronta da solo il ruolo armonico, ancora prima che ci provasse un chitarrista come Jim Hall…
Charles, nonostante il suo intenso lavoro a quattro battenti, non riduce le caratteristiche del vibrafono: usa il motore delle alette nelle canne di risonanza ed ha un suono netto, preciso che anticipa la voce dei vari Dave Pike, Walt Dickerson, Bobby Hutcherson e così via.
Se vuole può essere veloce come gli altri, ma si capisce che è l’ultima cosa che gli interessa: tutta la sua attenzione è sul progetto musicale… pertanto, non è difficile capire la sua ferrea amicizia con Mingus…
Come il suo amico bassista, e spesso insieme a lui, Charles allarga il bebop con”pedali” che inseriscono momenti modali, con politonalità che possono ricordare anche il primo Dave Brubeck e giunge a suonare free in maniera diversa sia da Tristano, sia da come lo farà più tardi Ornette Coleman.
La sua musica sperimentale può ricordare l’avanguardia europea ed è curioso che ogni volta che registra questo tipo di musica, subito dopo, Charles organizza una seduta di standards, come se non volesse perdere di vista le sue radici ed il suo corposo swing.

Quando smette di suonare in pubblico, Charles ha solo 39 anni.
Forse determina questa scelta la perdita di qualche suo amico di sempre come il pianista ed arrangiatore Hall Overton ed il contrabbassista Addison Farmer, senza dimenticare l’ictus di Mal Waldron che costringe questo grande pianista (come succederà dopo al chitarrista Pat Martino) a ristudiare il suo strumento… o forse la stanchezza di una attività condotta freneticamente… Charles sceglie di dirigere golette… probabilmente l’ennesimo ramo degli affari familiari…

Un nostalgico italiano lo richiama a Verona, ventuno anni dopo. Charles si presenta con un quartetto eccellente: Harold Danko al pianoforte, Ray Drummond al contrabbasso e Tony Reedus alla batteria… il concerto e l’incisione sono ottimi, ma qualche “critico” scrive che i suoi successori sono andati più avanti… e così Charles sparisce di nuovo… del resto ci sono tanti modi interessanti di invecchiare… vale la pena di arrabbiarsi con i sedicenti “critici”?
Però va detto che era impensabile che un rivoluzionario degli anni cinquanta, richiamato alla musica dopo ventuno anni, suonasse in maniera diversa.
Sarebbe come dire ad un Charlie Parker redivivo: “… ma come ancora suoni bebop?”…

La discografia di Teddy Charles,
come leader, va enunciata interamente perché ogni incisione, come ho già detto, è un progetto musicale ben definito.

Vanno ancora aggiunti “Blue Mood”, perché anche se è intestato a Miles Davis, si tratta di una incisione di Charles, che ha scritto tutti gli arrangiamenti, e di Mingus che ha organizzato la sessione per la propria casa discografica. E va sottolineato che il Prestige Jazz Quartet era diretto da Charles insieme a Mal Waldron.
Ancora va detto che nei cd sono raccolti due o tre LPs, perché spesso le sue incisioni era di 25cm (invece di 30… l’appassionato sa di cosa sto parlando…).
“New Directions”
“Adventures in California”
“Tentet”
“On Campus”
“Prestige Jazz Quartet”
“Evolution”
“Word From Bird”
“Vibe-rant Quintet”
“Salute To Hamp”
“Plays Duke Ellington”
“Live At Verona 1988”

Nino De Rose - Docente di jazz al conservatorio ‘Verdi’ di Milano