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Gary Burton
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Nato nell’Indiana il 23 gennaio 1943, Gary Burton è il più popolare vibrafonista jazz dopo Lionel Hampton. Ha incominciato alla marimba a solo sei anni, poi sul vibrafono a nove per inserirsi nel gruppo di famiglia appena adolescente. Ne esce a 17 anni, per incidere un disco con un grande chitarrista commerciale, che voleva dimostrare la sua perizia di jazzista, Hank Garland. Il bassista ed il batterista sono quelli del quartetto di Dave Brubeck: Joe Benjamin e Joe Morello. E’ sorprendente come questo disco testimonia in embrione tutta l’arte di Burton: l’organico, la sua abilità con due battenti per mano, la sua fluidità armonica e la sua carica ritmica.
Ma Burton è un artista onnivoro: vorrebbe sapere tutto e fare tutto e questo lo porta a studiare alla Berklee di Boston dove resta due anni, nei quali lavora con il pianista George Shearing. Shearing ha un quintetto dove usa regolarmente un chitarrista ed un vibrafonista. Oltre al loro solismo, ha bisogno di questi due strumenti per doppiare la voce più alta e quella più bassa delle sue armonizzazioni a cinque voci dove, appunto, la nota più grave e quella più acuta sono a distanza di una ottava, esattamente come lo sono la chitarra ed il vibrafono.
Burton è un diligente partner che assimila all’istante ogni tecnica di armonizzazione e di esecuzione, ma l’ingaggio seguente lo mette un po’ in crisi: il sassofonista Stan Getz ammira il giovane, ma trova che il vibrafono non riesce a sostituire a fondo il pianoforte. Burton lavora duro per dimostrarsi all’altezza: in fondo, se Jim Hall può sostenere Sonny Rollins, perché lui non può sostenere Getz? Quando Getz decide che ne ha abbastanza, Burton è famoso e si porta con sé il bassista ed il batterista del quartetto, nientemeno che Steve Swallow e Roy Haynes. Ma il quarto non è un sassofonista, ma, ovviamente un chitarrista : Larry Coryell.
Siamo nei mitici anni sessanta ed il quartetto ha l’immagine giusta per il mondo giovanile. Basti pensare che in Italia si esibisce al Piper di Roma, con David Pritchard alla chitarra e Bob Moses alla batteria. Il successo comincia già con il primo album nel 1967: “Duster”. Se esaminiamo attentamente i brani di questo album, troviamo che costituiscono un vero e proprio ‘manifesto’: usare composizioni contemporanee e tutte le tecniche in uso, modale, free, elettricità, scansioni ritmiche rock, misure dispari e così via. Burton è un ammiratore dei grandi compositori di temi contemporanei: Mike Gibbs, Carla Bley, Steve Swallow, Chick Corea… Ed in questa ammirazione forse c’è anche una certa insoddisfazione verso le sue composizioni. Ma Burton è un esecutore senza pari, pertanto, come il pianista Bill Evans, ha bisogno anche di materiale altrui per soddisfare il suo enorme talento di virtuoso.
L’accostamento a Bill Evans non è casuale. Nel 1963, Burton aveva inciso con l’allora sezione ritmica di Evans: il bassista Chuck Israels ed il batterista Larry Bunker, completava il gruppo il grande chitarrista Jim Hall. Questi aveva poi dichiarato che Burton era il musicista più vicino a Bill Evans che avesse conosciuto. Ma se il linguaggio base è quello evansiano, Burton ha una curiosità illimitata ed impone l’incisione di una delle opere più divertenti di Carla Bley: “A Genuin Funeral Tong”. Il disco è eccellente, ma forse Burton si gioca il contratto con la RCA che l’aveva assistito fino dagli inizi. Ovviamente, in quel momento, Burton non ha problemi a trovare un altro contratto con una grande casa discografica e viene ingaggiato dall’Atlantic.
La RCA americana ha il suo “zoccolo duro” nel country, mentre l’Atlantic lo ha nel Rhythm & Blues. Burton non ha problemi: il suo jazz si tinge di R&B, come vuole il suo desiderio di sottoporsi ad ogni prova. Con lo stesso spirito incide con il violinista Stephane Grappelli che fu membro dell’ Hot Club de France con Django Reinhardt. Ma l’Atlantic significa, soprattutto, l’incontro con Keith Jarrett – sotto contratto con la Vortex, una sottomarca dell’Atlantic – ed uno stupefacente concerto solo vibrafono al festival di Montreux nel 1971. Lo scrivente era presente a quel concerto che è riportato solo in parte in “Alone At Last”. Il pubblico era letteralmente entusiasta e non voleva lasciarlo andare, finché Burton fu costretto a dichiarare che non aveva preparato nessuno altro brano da suonare da solo.
Siamo agli inizi degli anni settanta e Burton capisce che ha due “fratelli”: Jarrett e Chick Corea. Anche per potere lavorare con loro, si lascia convincere a firmare per l’ECM, complice proprio un duo con Corea. Nel frattempo la sua carriera didattica lo vede membro della Berklee School, dove ogni giorno viene a contatto con giovani emergenti, che spesso ingaggia nel suo gruppo. La lista di questi giovani è lunga, ma basterà citare i chitarristi Mick Goodrick, Pat Metheny e John Scofield, i batteristi Mike Hyman e Dan Gottlieb ed il pianista Makoto Ozono, mentre al basso c’è l’amico di una vita, Steve Swallow. Ma è il duo con Chick Corea che affascina un po’ tutti. I due confessano che hanno dovuto lavorare molto per suonare bene insieme. Del resto è plausibile, Burton ha il suo lato popolare nel country, in Bob Dylan e nel R&B, mentre Corea ha sempre lavorato nel jazz “latino”. Però, ambedue hanno studiato musica classica – Burton, come pianista -, hanno suonato con Stan Getz ed adorano Bill Evans e Roy Haynes. Il risultato è un duo strepitoso, che costringe altri vibrafonisti e pianisti a provarci, almeno per una incisione. Infatti, questa formula è ripresa da Milton Jackson con Oscar Peterson, da Bobby Hutcherson con McCoy Tyner, da Dave Samuels con Andy Laverne, da Joe Locke con Kenny Barron e da Stefon Harris con Jacky Terrasson.
L’ECM propone altri duetti a Gary Burton e va sottolineato quello con il chitarrista Ralph Towner; così come gli consente di sostituire il chitarrista nel quartetto, di volta in volta, con un trombettista , un sassofonista o un pianista. E’ quest’ultimo a spuntarla: Makoto Ozono, allievo di Burton, dalla tecnica strumentale superba. Ozono è forse troppo legato a Corea come improvvisatore e compositore, ma Burton sta attento a suonare con lui cose diverse, stili diversi, fra i quali sta emergendo in maniera sempre più netta il tango. Infatti, Astor Piazzolla, il grande compositore ed accordeonista argentino, l’ha voluto con lui in un altro memorabile concerto a Montreux. Burton ha accettato volentieri la sfida che lo vede praticamente come solista classico. Poi, si dichiarerà entusiasta del tango e deciderà di lasciare uno spazio per questa forma musicale.
Ma il nuovo contratto discografico con GRP riporta Burton agli anni della RCA. Dave Grusin, direttore e proprietario della GRP, vuole da lui il ritorno agli anni sessanta e vuole che i suoi compagni siano tutte “stelle”. Burton non è dispiaciuto di chiamare i vari Michael Brecker, Bob Berg, Pat Metheny, John Scofield, Will Lee, Marc Johnson, Peter Erskine e compagnia. Ma forse l’incisione più convincente di questo periodo è un omaggio a Benny Goodman e Lionel Hampton insieme al clarinettista Eddie Daniels. I due ricostruiscono i brani celebri della grande coppia swing, mantenendone il fascino e lasciando spazio alle nuove tecniche d’improvvisazione. Poi va segnalato un Cd dove Burton alterna sei chitarristi: B.B. King (proprio lui !?!), John Scofield, Kevin Eubanks, Ralph Towner, Jim Hall e Kurt Rosenwinkel. C’è tutta la felicità di suonare con allegria ed inventiva sia standards che composizioni originali con uno scatenato Jack DeJohnette alla batteria.
Nel frattempo Burton è diventato il vice-direttore della Berklee di Boston e ciò, ovviamente, gli fa ridurre i suoi ingaggi concertistici, che prevedono quasi esclusivamente il duo con un pianista. Soprattutto Corea ed Ozono, ma anche Danilo Perez in un tour sudamericano e Paul Bley in una incisione da esaminare attentamente. Ma l’instancabile vibrafonista viene scritturato dalla Concord e questo genera altri lavori eccellenti.
La Concord ama gli standards ed i giganti del passato, così Burton incide un CD di standards con un organico legato a George Shearing ed i compagni sono tutti virtuosi ben conosciuti: Scofield, il pianista Fred Hersch, il bassista John Patitucci e Peter Erskine. Poi Burton vorrebbe incidere temi contemporanei, la Concord accetta ma i musicisti devono essere i più grandi del genere. E così nasce “Like Minds” con Corea, Metheny, Dave Holland e Roy Haynes: un “must” per qualsiasi collezione di dischi. Ancora , Burton ha maturato un omaggio ai grandi vibrafonisti del passato: Lionel Hampton, Red Norvo, Milton Jackson e Cal Tjader, che realizza con giovani talenti come il chitarrista Russell Malone, il bassista Christian McBride, il batterista Horacio Hernandez ed il percussionista Luis Quintero , oltre ad alcuni dei suoi abituali compagni.
Infine vanno menzionati altri due CDs di Tango e due duetti con Corea e Ozono. Oggi Burton ha sessantaquattro anni e come Corea , Jarrett, Herbie Hancock, Wayne Shorter ed altri è uno dei punti di riferimento di questa musica. La sua curiosità e disponibilità è illimitata, la sua tecnica strumentale impareggiabile e conosce tutti i segreti e le possibilità dell’arte e del mestiere del musicista jazz.
Nino De Rose- docente di jazz al Conservatorio di Milano
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